“L’emergenza coronavirus ci sta dimostrando che abbiamo trascurato la medicina del territorio e ci sta facendo capire quanto sia urgente tornare a considerarla uno dei pilastri del Sistema sanitario nazionale”. Così Giovanni de Gaetano, Presidente dell’I.R.C.C.S. Neuromed, commenta la lezione che l’epidemia Covid-19 sta dando all’Italia e a tutti gli altri Paesi.
“La risposta delle strutture sanitarie – a cominciare dagli IRCCS – dei medici, degli infermieri, dei ricercatori, assieme a tutti gli apparati della Protezione civile e dello Stato in genere, è stata ed è tutt’ora straordinaria. Nei prossimi anni il caso Italia lo studieranno sui libri di medicina in tutto il mondo, come un modello di rapida risposta di fronte a un’emergenza mai vista in tempi recenti. Ma da ogni emergenza si traggono anche lezioni per il futuro. Sarebbe sciocco non farlo”.
Il coronavirus è definito spesso un “cigno nero”, usando le parole del matematico Nassim Nicholas Taleb.
“Molti interpretano il concetto di “cigno nero” solo come un evento catastrofico dagli effetti devastanti, che nessuno avrebbe potuto prevedere. È naturalmente vero, ma questa è solo la prima parte. “Cigno nero” è anche qualcosa che costringe a cambiare la nostra visione del mondo, e credo che l’epidemia da Covid-19 rientri perfettamente in quella definizione. Da molti anni ci siamo abituati all’idea che tutto si risolva in un ospedale che ha perso i contatti reali con il territorio, con i cittadini, i quali si rivolgono al pronto soccorso per qualsiasi cosa. Allo stesso tempo, abbiamo perso il concetto di una medicina che arrivi nelle case delle persone e che sappia seguirle anche nella loro vita quotidiana. Il medico di medicina generale deve tornare ad essere il protagonista del legame tra il cittadino e la sua salute e, quando necessario, tra il paziente e l’ospedale. Una via a doppio senso”.
Un ospedale, o un centro di ricerca, che “escono” dalle loro mura. È la base su cui partì il progetto epidemiologico Moli-sani, che ha creato un vero e proprio laboratorio grande quanto il Molise
“Esattamente. Con il progetto Moli-sani abbiamo avvicinato venticinquemila persone sane, senza aspettare che si ammalassero. E poi le abbiamo seguite, ormai da oltre dieci anni, telefonando a casa, monitorandole tramite il Sistema sanitario regionale, rilevando i cambiamenti di abitudini e di vita. È quella che abbiamo cominciato a chiamare la “medicina dei sani”. Pensiamo sia un modello che tutta la sanità italiana dovrà considerare con attenzione: pensare alle persone molto prima che diventino pazienti. Non possiamo solo attendere passivamente il ricovero dei malati. Malati di cui i medici in ospedale, in collegamento coordinato con i colleghi di medicina generale, dovrebbero già sapere molto sulla loro vita, le patologie pregresse, i fattori di rischio”.
Come dovrebbero essere raccolte queste informazioni?
“Prendiamo il caso della risposta ai terremoti. L’Italia sta perfezionando sempre di più le mappe del territorio, perché dobbiamo sapere come reagiranno a una possibile scossa gli edifici, i ponti, le strutture industriali, i luoghi pubblici, i cittadini. In questo modo i Vigili del fuoco, l’esercito, i volontari, sono pronti e ben informati: hanno una mappa che li guiderà anche nelle fasi concitate di un terremoto. Lo stesso dovrà avvenire in medicina. I campionamenti, gli screening, dovranno costituire enormi database facilmente accessibili nel momento dell’emergenza. Tantissime persone, per fare l’esempio più banale, effettuano misurazioni e analisi nelle farmacie. Ma quelle informazioni oggi si perdono. Invece penso a una medicina che collezioni tutto ciò che riguarda un cittadino, e che segua le persone costantemente. No, non è il Grande Fratello, ma solo un grande lavoro di prevenzione: in questo modo avremo anche costruito una infrastruttura da mobilitare rapidamente durante un’emergenza”.