Sono stati i pilastri sui quali si è giocata la fase 1 di diagnosi nell’emergenza coronavirus, ma che saranno importanti anche nella Fase 2, probabilmente fino all’arrivo del vaccino e oltre: i test di laboratorio. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Marianna Storto, Responsabile Unità Patologia Clinica dell’I.R.C.C.S. Neuromed.
Nelle ultime settimane la parola “tamponi” è probabilmente diventata la più usata nei mezzi di comunicazione
“È vero, ma non solo da loro. Chiunque, in differenti ambienti, ha parlato del tampone, se poteva farne uno. Credo che molta confusione si sia creata perché, a causa dell’improvvisa emergenza, non si è avuto il tempo per spiegare bene ai cittadini le linee guida emanate dal ministero della salute, che sin dall’inizio dell’emergenza ha indicato a chi deve essere effettuato il tampone e soprattutto da quale organo sanitario. Comunque il tampone nasale/faringeo oggi rappresenta il test fondamentale, il più sensibile e affidabile, per individuare l’infezione da coronavirus. In pratica, è una specie di cotton fioc floccato che si introduce nel naso e nella bocca dei pazienti o dei sospetti contagiati. Se quella persona è infetta, un po’ di materiale virale sarà ‘catturato’ dal tampone, che verrà analizzato esclusivamente dai Laboratori di Riferimento regionali indicati dal Ministero della Salute”.
Cosa si cerca nel tampone?
“Il materiale genetico del virus, la sua “firma” unica e inconfondibile. Gli appassionati di serie TV poliziesche hanno già sentito parlare tante volte dell’analisi che viene effettuata: la PCR (reazione a catena della polimerasi). Nelle indagini criminali, ad esempio, la si usa per individuare il DNA di un sospetto sulla scena di un crimine. Il virus SARS-CoV-2, responsabile di questa pandemia, è composto da RNA a singolo filamento positivo, non da DNA. Poiché il materiale genetico del virus è pochissimo, impossibile da individuare così com’è stato raccolto dal naso o dalla gola, la metodica analitica utilizzata, appunto la PCR, permette di ‘amplificare’, creare cioè un numero di copie del codice virale. A quel punto il laboratorio ha abbastanza materiale per ricercare specifiche porzioni tipiche di questo virus”.
Una fotografia in tempo reale, quindi.
“Sì, se la ricerca dà esito positivo per sequenze ben precise che caratterizzano il Covid-19, vuol dire che l’infezione è in atto. Al contrario, un risultato negativo non può escludere la presenza in fase iniziale del virus, poiché ogni kit di PCR ha una sensibilità per il numero minimo di copie rilevabili, il cosiddetto cut-off o soglia analitica. Pertanto se il tampone viene effettuato quando l’infezione è ancora nelle fasi iniziali di replicazione del virus, è molto probabile avere un falso negativo; è ovvio, inoltre, che il risultato del tampone dipende molto dalla buona pratica di esecuzione dello stesso.
Perché possono servire più tamponi per ogni persona?
“Le linee guida del ministero, nella prima fase della pandemia, quando si sono avuti i primi casi, consigliavano di ripetere e inviare il tampone con risultato positivo al laboratorio di riferimento nazionale, quello dello Spallanzani, per avere una maggiore sicurezza del risultato. Poi tale percorso è stato superato, vista la propagazione dell’infezione e anche perché i kit commerciali di PCR indicati dal ministero della salute e utilizzati nel laboratori di riferimento, dopo un certo numero di campioni processati, sono risultati affidabili. Inoltre in un paziente risultato positivo, il tampone viene ripetuto a distanza di 20 giorni, anche 30 secondo la nostra esperienza, per vedere se il paziente è guarito, ovvero non ha più il virus. In questo caso le linee guida del ministero della salute indicano che il primo tampone negativo debba essere ripetuto a distanza di 24 ore per dichiarare ufficialmente il soggetto guarito”.
E poi ci sono gli altri test, quelli chiamati test rapidi sierologici. Forse è qui la confusione più grande.
“I test sierologici non cercano il virus, ma individuano la risposta del sistema immunitario contro il microrganismo. Con questi test si ricercano due tipi di anticorpi anti-Covid: quelli IgM, che vengono prodotti per primi dal nostro sistema immunitario, generalmente nell’arco dei primi 7 giorni dal contagio e indicano infezione in atto, e gli anticorpi di tipo IgG, che compaiono nel nostro sangue più tardi, dove rimarranno a lungo. Rappresentano la squadra di sorveglianza, la citatissima immunità acquisita o di gregge. Si dovrà ancora verificare se chi l’ha sviluppata sarà protetto dai prossimi contagi di questo virus, o per quanto durerà l’eventuale protezione. Sono infatti già noti alcuni casi di reinfezione in Corea.
Qual’è la vostra esperienza con questi test?
Da circa tre settimane sono a disposizione sul mercato i famosi ‘test rapidi sierologici’. Si tratta di tavolette monouso che in circa dieci minuti permettono di ricercare gli anticorpi contro il coronavirus con un metodo di laboratorio detto “immuno-cromatografico”. Anche noi in Neuromed stiamo cercando di dare un contributo agli studi sull’ affidabilità e accuratezza di questi primi test rapidi sierologici. Abbiamo acquisito differenti kit di marche diverse e li stiamo provando su campioni di siero di pazienti positivi raccolti a differenti giorni dal momento della diagnosi. Vogliamo monitorare la comparsa e/o scomparsa delle differenti immunoglobuline nel corso dell’infezione, correlare il risultato anche con quello ottenuto dai tamponi e soprattutto valutare eventuali false positività dovute a cross-reazioni per infezioni con altri tipi di coronavirus che possono avere caratteristiche simili al Covid-19.
È indispensabile arrivare rapidamente a una standardizzazione dei test, valida per tutta Italia e a livello internazionale. In questi giorni si sta rischiando un vero Far West in questo campo, fino ad arrivare al caso limite dei test acquistati su internet, che non possono dare alcuna garanzia, o a forme di sciacallaggio che propongono test ancora non giudicati affidabili dal comitato tecnico scientifico e a prezzi esageratissimi.
Cosa si può prevedere a breve termine?
Tutti noi laboratoristi siamo in attesa di nuovi kit diagnostici, attualmente in sperimentazione nell’ospedale di Pavia, e che alla fine del mese probabilmente saranno in commercio. Questi utilizzano metodiche di laboratorio con elevate caratteristiche di sensibilità e specificità (rispettivamente la capacità di individuare gli anticorpi, evitando falsi negativi, e il loro riconoscimento accurato, per evitare i falsi positivi, ndr), rispetto ai test rapidi ora a disposizione. Solo grazie a questi nuovi kit diagnostici si potrà finalmente effettuare l’auspicato screening sulla popolazione in modo accurato, scientificamente valido. Tutti dovranno possibilmente utilizzare lo stesso metodo per tale screening. La sperimentazione di questi giorni e la validazione su larga scala effettuata in ospedali di riferimento restano punti cruciali per l’immissione in commercio di questi nuovi test, che realmente potranno permetterci di avere dati certi su come è avvenuta l’infezione nella popolazione. Con il coronavirus siamo di fronte a una situazione completamente nuova, e dobbiamo muoverci con cautela”.
I tamponi saranno ancora richiesti nei prossimi mesi?
“E’ indispensabile precisare ai cittadini come si utilizzeranno nei prossimi mesi i differenti test che abbiamo a disposizione e quali percorsi si seguiranno, sempre facendo riferimento alle linee guida del ministero della salute. Sulla popolazione saranno effettuati gli screening sierologici con un semplice prelievo di sangue. Avremo in questo modo evidenza su larghi numeri di quanti soggetti hanno una probabile infezione in corso, quanti invece non hanno il virus o quanti soggetti hanno avuto l’infezione, soprattutto asintomatica, sono guariti e hanno acquisito l’immunità. È importante precisare però che nei soggetti con probabile infezione indicata dal test sierologico o dalla comparsa di sintomi ben precisi correlabili a un caso di Covid-19, il test per la diagnosi certa di infezione rimarrà sempre la PCR su tampone nasale, vista l’elevata sensibilità della metodica, che appunto potrà confermare o escludere quanto indicato dal test sierologico o dalla sintomatologia.
Aggiungiamo che anche le tecniche di PCR, utilizzate per analizzare i tamponi, si stanno perfezionando di giorno in giorno rispetto all’inizio della pandemia, con la disponibilità di nuovi kit, che anche in questo caso sono definiti “kit rapidi di PCR”. Questi abbassano notevolmente i tempi della procedura, da 5/6 ore a 1 ora per avere il risultato”.