Si spera che un bambino o un adolescente non debba mai ricorrere all’ospedale, ma quando ciò risulta necessario è importante che il ricovero avvenga in una struttura accogliente, capace di far sentire a proprio agio i piccoli e i loro familiari in modo da affrontare con maggiore serenità il percorso diagnostico e terapeutico.
Per questi pazienti, infatti, la stanza di degenza si trasforma per qualche giorno nella propria casa diventando il luogo dove riposare, mangiare, giocare, leggere, guardare la tv e fare i compiti. Per questo è molto importante evitare che i piccoli pazienti, una volta a ricovero abbiano la sensazione di trovarsi in un posto molto diverso dalla cameretta di casa con letti, armadietti e muri grigi e senza colore. Sono ormai tante le evidenze che dimostrano come un ambiente allegro e accogliente si ripercuota positivamente sulla sfera emotiva dei piccoli ricoverati aiutandoli a contrastare il pericolo di disorientamento legato alla lontananza dall’ambiente familiare.
Ogni anno, presso il Centro per la diagnosi e cura dell’Epilessia dell’IRCCS Neuromed vengono ricoverati circa 100 piccolo pazienti, a partire dall’età scolare ed in questa ottica, presso il Centro epilessia, recentemente rinnovato nel look e nelle dotazioni tecnologiche, è stata realizzata una stanza di degenza a “misura di bambino” (Smile Room).
Si tratta di una stanza che oltre ad essere dotata di un moderno sistema di videoEEG (per la registrazione continua 24/24ore dell’attività elettrica cerebrale) è stata pensata con grande attenzione alle esigenze dei bambini. Una cameretta allegra con pareti colorate e raffiguranti paesaggi di ispirazione fiabesca dotata anche uno spazio dedicato all’attività ludica ed una parete attrezzata con TV e sistemi per riproduzione di film. È stato, infine, previsto uno spazio comodo ed accogliente per il riposo del caregiver che accompagna il piccolo paziente per l’intera durata della degenza.
Lo scopo è far sì che i bambini ed i familiari vivano un ospedale differente che si prenda cura non solo della loro “malattia” ma anche del loro “essere bambini”.